Fotografo non inquadrabile,
così mi definisce Paolo Maccioni nella sua intervista realizzata per All About Italy Deutshland.
La rivista, tutta dedicata all’eccellenza italiana nel mondo, si occupa di prodotti, lifestyle e arte italiana e nel numero appena uscito mi dedica 6 pagine con un ampio spazio per le mie fotografie.
Con Paolo abbiamo parlato di miniere, Paesaggio, Holistic Vision e del mio approccio con il lavoro del fotografo. L’intervista si può leggere a questo link in tedesco (pag.74 – 79), forse uscirà anche in inglese su All About Italy USA, nel frattempo qui di seguito trovate la versione italiana.
Paolo Beccari
Fotografo non inquadrabile
Con la sua versatilità, riesce a dare al quotidiano una nuova interpretazione grazie a tagli e punti di vista inconsueti, un approccio al territorio e al paesaggio del tutto particolare: ”Credo che questa percezione mi derivi in parte dall’essere italiano.”
Paolo Beccari sta bevendo una birra in un baretto sulla spiaggia di Cagliari, in un ventoso pomeriggio invernale. Sembra assorto, oppure sta osservando i particolari riflessi della luce sugli oggetti che lo circondano. Paolo ha 43 anni, veste in modo informale, comodo, ha uno sguardo profondo, le scarpe sporche di sabbia.
La semplicità dello stile e la cordialità celano, ma allo stesso tempo rivelano, il percorso biografico, artistico e professionale di Paolo. Una vita di scelte inconsuete; si è trasferito con la famiglia da Trieste a Cagliari alla ricerca di un’umanità diversa, non ha voluto isolarsi nella pura professione continuando a ricercare e sperimentare, a interrogarsi sui significati.
“Possiamo capire molto di una società, della sua storia, se osserviamo quello che fa dell’ambiente che la circonda”, mi scrive Paolo Beccari, in una mail, pochi giorni prima del nostro incontro. Inizierò da qui.
A proposito del rapporto tra Uomo e Ambiente, penso subito al tuo reportage sulle miniere di Sardegna: cosa significa per te indagare il Paesaggio?
Significa porsi di fronte a un territorio e ricercare in esso i segni del suo passato, le tracce del presente e provare a immaginare il suo futuro.
Quando lavoro su un territorio prima di tutto voglio farmi affascinare: limito al massimo le ricerche preventive, cerco di avere uno sguardo “ignorante” in modo che sia il territorio stesso a raccontarmi per primo la sua storia. Immagino il passato osservando e fotografando il presente, cerco tracce nel rapporto tra Natura e Architettura. Poi inizio a documentarmi, ad approfondire ma quelle mie prime impressioni restano fissate nella memoria e sono la base della mia ricerca: voglio scoprire il ruolo delle mie immagini non attribuirgli un significato a priori.
Hai parlato anche di immaginare il futuro di un territorio: pensi che la fotografia possa avere un ruolo sociale per condizionare lo sviluppo di un luogo?
Il ruolo può essere quello di alimentare la coscienza del presente, mettere in rilievo i valori e le contraddizioni di un territorio e farne uno stimolo per immaginare il futuro. Credo che questo processo possa servire a chi progetta il cambiamento ma soprattutto a chi conosce e vive i luoghi: se il futuro non riesci a immaginarlo diverso, come puoi cambiarlo? Penso che in questo momento tutta l’Italia abbia un grande bisogno di comprendere i suoi valori, le sue eccellenze per poter progettare un nuovo futuro.
Però il tuo sguardo si posa anche all’estero: New York, le “Holistic Visions”, l’intento è lo stesso?
A New York sto usando un approccio simile ma il paesaggio di una grande metropoli ha rapporti di forza molto diversi dove la natura è addomesticata e ha scarsi spazi di ribellione. Le relazioni, le contraddizioni sono quasi tutte interne all’uomo nel dualismo tra progettare/costruire e vivere/usare il paesaggio. Per questo, per prima cosa ho voluto confrontarmi con la percezione stereotipata di una metropoli tutta scintillante e dinamica. Ho voluto indagare sulle relazioni tra architettura e uomo ma anche sulle relazioni tra i diversi elementi architettonici e sulle tracce della Natura.
In questo lavoro è importante la presenza del ritratto di strada ma ho usato anche i miei fotomontaggi speculari che chiamo Holistic Visions: sono al contempo uno strumento di indagine sull’architettura e una provocazione.
Perché componi immagini speculandole e come ti è venuta l’idea?
La prima immagine speculata l’ho composta assieme ai miei figli. Stavo spiegando loro per quale motivo avevo portato al nero la parte alta di un’immagine scattata dentro una stazione della Metro di Milano. Per mostrargli meglio che la volta della galleria si trasformava in un cielo notturno ho duplicato e speculato l’immagine: improvvisamente per loro è stato chiaro; hanno “visto” il cielo che prima appena intuivano.
Le Holistic Visions creano illusioni prospettiche e pattern che mettono in risalto i rapporti tra gli elementi architettonici e infine creano falsi volumi usando volumi reali. Questa provocazione costringe lo sguardo a capire, decodificare gli elementi per svelare il trucco, il che porta a vedere i dettagli, scoprire le reali interazioni degli elementi.
OK, ma perché le chiami Holistic Visions?
Osservare il reale dal punto di vista olistico significa cercare di ottenere una visione d’insieme dei fenomeni e delle interazioni. La posizione olistica si basa sul concetto che un organismo complesso ha prestazioni diverse e superiori rispetto alla somma degli elementi che lo compongono.
Le Holistic Visions offrono diversi e maggiori spunti rispetto al singolo originale non speculato, compongono qualcosa di nuovo e infine mettono in luce i rapporti tra gli elementi esistenti, offrendo spunti per una visione più completa del reale.
Jan Smuth che ha coniato la parola ha definito l’ “olismo” come «…la tendenza, in natura, a formare interi che sono più grandi della somma delle parti, attraverso l’evoluzione creativa»
Architettura, Paesaggio, Ritratto, Reportage, Holistic Visions… possiamo dire che queste discipline si fondono in un tuo concetto allargato di paesaggio?
Queste discipline si fondono in una percezione olistica del paesaggio, se vuoi, comunque vicina alla visione che ne ha l’architettura: un paesaggio vivo, abitato, solo in parte progettato e progettabile ma soprattutto in mutamento continuo e non sempre in miglioramento. Credo che questa percezione mi derivi in parte dall’essere italiano. L’Italia è un territorio molto vario e in certi casi molto maltrattato. È il luogo dove convivono la massima densità di monumenti e siti archeologici, una biodiversità unica in Europa e una quantità di scempi ambientali e architettonici devastanti: credo che in Italia tutto sia “paesaggio” e che questa sia una grandiosa sfida per il nostro futuro.
Parlando di futuro, hai nuovi progetti in cantiere? Nuovi luoghi da indagare?
Il disagio mentale e il paesaggio: in Sardegna ho conosciuto Alessandro Coni, uno psichiatra geniale che da 10 anni organizza escursioni in montagna con i suoi pazienti. Sarò tra loro sui loro “Sentieri di libertà”.
Devo poi continuare la ricerca su New York, ma in generale i miei reportage mi porteranno in Oriente, dove il rapporto tra architettura e uomo è di massima attualità: penso a Hong Kong, Singapore, ma anche a luoghi molto meno noti dove le antiche relazioni tra paesaggio e umanità stanno mutando improvvisamente.
Paolo Maccioni